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Abuso sessuale… Avevo 17 anni

Desidero portare una mia testimonianza del passato scritta nel libro "CHIARA SOLE"  ANORESSIA E BULIMIA: UN'ESPERIENZA DI VITA E DI MORTE. Prefazione di GIANNA SCHELOTTO. Edito da "IDEALIBRI" romanzata insieme all’amico David De Filippi. Gli scontri con la sessualità malata sono stati diversi…


Era arrivata alla soglia dei 17 anni, Chiara, età nella quale i petali della rosa stanno schiudendosi per trasformare un promettente bocciolo in un fiore stupendo.
La lotta con la bulimia era una battaglia massacrante, e lo era diventata anche nei rapporti con la famiglia e con chiunque circondasse l’esistenza di Chiara.
I tentativi fatti dalla sua famiglia per cercare di arginare la degenerazione verso l’autodistruzione non si limitavano al ricorrere alla medicina e al parere dei luminari, ma anche ad iniziative volte alla disperata risoluzione del tutto.
Senza pensarci troppo, la mamma di Chiara organizzò un viaggio assieme alla figlia, sperando che gli svaghi di un villaggio turistico potessero aiutare la ragazza a distrarsi.
In quel periodo, completamente svuotata dalla malattia, Chiara pesava circa quaranta chili, e i tratti somatici che l’accompagnavano erano tipici dell’incedere malato del suo demone. Gli zigomi innaturalmente sporgenti, gli occhi infossati, le scarne mani, quadrate come palette appese a due manici legnosi che erano le braccia.
Sveniva spesso e il continuo rigettare la privava di quei liquidi fondamentali per poter affrontare normalmente il feroce caldo estivo; era un momento sbandato, per lei.
Cercava sollievo fisico e mentale e da un certo periodo aveva iniziato ad introdurre l’uso di alcolici nella sua scellerata introduzione di alimenti nel corpo. Un alcol gentile, amorevole, che le consentiva di svagarsi in quanto, grazie a lui, tutto improvvisamente assumeva i toni giocosi dell’irrealtà, consentendole di non pensare alla quotidianità infernale.
Finito di non mangiare la cena, dove era però stato ingerito parecchio vino, Chiara decise di trascorrere il resto della serata in compagnia di altri ragazzi presenti nel villaggio. Un po’ di svago le avrebbe fatto sicuramente bene, quella sera, così optò per valorizzarsi un minimo di fronte allo specchio, quindi uscì.
Immediatamente, il suo essere fresca e femminile, le fece notare un ragazzo decisamente carino; era uno degli animatori della zona turistica, ma lo stato d’animo di Chiara non lasciava presupporre a storie di nessun genere, neanche fuggevoli, così proseguì la propria serata senza badare agli insistenti sguardi ammirati di quel giovane predatore.
Raggiunta la discoteca, venne invasa dai fumi e dai suoni assordanti e quasi le sembrò, aiutata dall’alcol che aveva costituito la sua cena, che l’incubo che viveva da sempre fosse solo un ricordo lontano.
Tra gli schiamazzi, D’un tratto, qualcuno propose il classico dei classici: bagno in piscina a mezzanotte!
In un ribollire di spruzzi e grida festanti, eccola al centro dell’enorme vasca, ragazza che sembrava felice di vivere, ragazza spensierata come tutti.
Era strano questo suo modo di essere. Era un altalenarsi di eccessi che rispecchiavano la totalità del suo carattere. Era capace di vivere gioie e momenti bellissimi in famiglia, e un’ora dopo ritrovarsi a vomitare la propria vita nel water.
C’era gioia attorno a lei, voglia di vita, voglia di divertirsi, e lei la percepiva e si adeguava, attrice superba, al ruolo da impersonare in quella circostanza.
Ed ecco ricomparire lui, il ragazzo carino di poco prima, con perle di gocce ad adornargli il viso e un sorriso che colpiva il centro del petto.
Pieno di attenzioni e con fare da vero gentleman, il ragazzo ricopriva Chiara di ogni premura, facendola sentire protetta e corteggiata allo stesso tempo.
Le piaceva il modo che aveva di guardarla, come se lei fosse la più bella di tutte, una vera donna distante anni luce dai problemi di sempre e quando lui la invitò sotto la doccia post bagno, lei non pensò altro che a seguirlo.
Aveva dei bei modi e la sensazione che lui, assai più grande, le rivolgesse così tanti gesti carichi di affetto la appagava incredibilmente.
Raggiunte le docce, i due ragazzi si accorsero che erano chiuse, ma sfoderando un nuovo sorriso capace di sciogliere anche i cuori più gelidi, il ragazzo prese Chiara per mano.
Le chiese di accompagnarlo nel proprio alloggio, dal quale avrebbe prelevato le chiavi per le docce; lei, pensando con la ragione dell’alcol, non si domandò nulla, e lo seguì.
Entrando in camera, sempre per mano, Chiara notò un ragazzo addormentato su uno dei letti presenti in quel locale e subito le venne suggerito di fare piano, al fine di non svegliare quell’irascibile compagno di stanza.
Raggiunsero il bagno con passi felpati e una volta dentro, il ragazzo dai modi splendidi le fece notare la presenza della doccia. Che senso avrebbe avuto tornare indietro e fare la doccia assieme a tutti gli altri, quando lì avrebbe potuto averne una tutta per lei?
Ancora in balia degli eventi e stordita da quel film romantico che pensava di stare vivendo, Chiara entrò nella doccia e prese a lasciar scorrere l’acqua, come un eccitante abbraccio fluido.
Chiuse gli occhi e immaginò di essere in una fresca cascata di montagna, lontano da tutto, finalmente fuori dai suoi pensieri…
A quel punto, Chiara aprì gli occhi e vide il giovane gentiluomo entrare nella doccia assieme a lei.
Ancora sopraffatta dall’alcol, non era in grado di rendersi ben conto di ciò che stava accadendo, ma capì che c’era qualcosa di strano e istintivamente si ritrasse, cercando di uscire.
Voleva solo tornare in camera dalla mamma, percepiva troppa negatività in quel momento.
Lui la prese per le spalle, però, ed era dolce come in pochi erano stati con lei. Le chiese di non uscire, di restare lì con lui a godere di quel meraviglioso momento.
Poi, d’un tratto: “Togliti il costume!”. Il costume?! Ma come? Perché?
Quella era una doccia fatta per lasciar scivolare via i sali della piscina, una doccia come quelle che si fanno sulla spiaggia! Perché mi sta chiedendo di togliere il costume?!
Chiara rispose di no, tentando nuovamente di allontanarsi.
Improvvisamente, come all’ingresso di un orco in un sogno che sembrava meraviglioso, quello che era stato un giovane nobile d’animo si mostrò per quello che era.
Iniziò ad innervosirsi e spingendo Chiara contro l’angolo della doccia per impedirle di uscire, prese a sfilarle il costume.
Impietrita, spaventata e sconcertata, Chiara rimase immobile e preda dell’imbarazzo e della vergogna cercò di coprire quelle che ora erano le sue nudità.
Le ossa che sbucavano dalla pelle erano come aghi crudeli e taglienti; di certo la sua magrezza non l’avrebbe difesa da tutto ciò.
Si avvicinò, il giovane predatore, prendendo ad accarezzarla in modo proibito, a baciarla, a soffiarle addosso un alito voglioso di sesso crudo.
Il terrore la bloccò, soprattutto nel pensare che un altro suo simile avrebbe potuto sbucare dalla porta, e iniziare egli stesso ad abusare di lei.
Prese a pregarlo, Chiara.
Lo faceva a bassa voce, timorosa di svegliare l’altro, e cercando di tenerlo distante con le braccia troppo esili per essere utili.
Dio, aiutami… Ho paura… Aiuto, aiutami…
Ma il giovane animale non si fermò e la prese con tutta la violenza immaginabile.
Per favore… No… Basta… Ti prego… Fermati… Basta…
Il coltello di carne continuava a trafiggerla, sventrandola, dandole dolore sia fisico sia spirituale.
Quella lama era entrata in lei, in una lei chiusa e inaccogliente, una lei che non voleva, ma che era diventata il solo desiderio di quell’uomo animale.
Durò pochissimo, ma durò per sempre.
Restò lì, Chiara, accovacciata ora a terra, con lo scrosciare dell’acqua che non la lavava dal senso di sporco del quale non aveva colpe, se non quella di aver ecceduto nell’inebriante alcol.
Restava immobile, mentre il centro del corpo, essenza stessa della sua femminilità, pulsava dolorosamente ferito e offeso nel profondo.
Voleva solo uscire di lì, tornare nella sua camera, ma non le fu permesso.
Fu raccolta da terra e sospinta verso il letto vicino al dormiente co-inquilino del ragazzo infame.
Piangeva, singhiozzava in silenzio, tutta tremante alla sola idea che il potenziale complice si svegliasse e ricominciasse da dove il primo aveva abbandonato.
Stava lì, rannicchiata come un bambino che dorme, ma lei non dormiva, anche se ciò che aveva vissuto aveva le sembianze di un incubo.
Il tempo passava, ma non nella sua testa. Viveva dentro di sé un attimo eterno, in cui la parola stupro aveva un significato concreto e tangibile, lama di carne dentro il suo corpo.
Implacabile, lo scorrere del tempo fece entrare la prima luce di un giorno che sarebbe stato ancora più vuoto dei precedenti, e lei, ancora lì, rannicchiata e scossa, trattenuta dal braccio dormiente del carceriere.
Solo a mattino giunto riuscì ad alzarsi e a scivolare via grazie alla complicità del sonno del ragazzo per bene, del ragazzo dai modi raffinati, dal ragazzo che le aveva fatto quanto più di ignobile avesse potuto farle.
Aspetta… Le disse il ragazzo uomo bestia, o forse semplicemente, temette di sentire quella parola quando ormai era finalmente fuori, finalmente libera come la fresca aria che l’accarezzava affettuosamente. Si sentiva gonfia, il ventre rigido come fosse stato di cuoio, saturo di impurità e di veleno prepotente. Camminando come in un incubo, raggiunse l’alloggio della mamma, e la trovò seduta sul letto colma di preoccupazione per non averla trovata dopo una ricerca durata qualche ora. Colma di vergogna e di terrore, Chiara improvvisò una scusa puerile, sostenendo di essersi addormentata vicino ad uno scoglio e subito dopo cadde in una specie di trance. Ma venne accolta duramente, in modo istintivamente preoccupato, come solo una mamma in ansia può essere.
E come se non avesse sopportato abbastanza, una sberla le voltò la faccia.
Rimase in silenzio, Chiara. Un silenzio suo, solo suo. Un silenzio buio. Un silenzio nero come il nulla.
Avanzò lentamente verso il bagno, e con ancora una mano pulsante a farle bruciare la guancia, aprì il rubinetto di quella doccia amica, e iniziò a sfregarsi, come a volersi depurare da ciò che aveva subito.
Si lavò con maniacale accuratezza; poi, si stese sul letto sicuro e crollò in un sonno mortale, nel quale l’unica cosa che riaffiorava alla mente era il volto ansimante dell’animale che le penetrava l’anima. I giorni successivi furono terribili, costellati di ricordi a fotogrammi, e di suoni che riecheggiavano nella sua mente. Quel modo di stare male era del tutto diverso, non era causato da se stessa, dal suo autolesionismo, ma da una precisa cattiveria da parte di un uomo.
Perché? Perché le aveva fatto questo? Perché quando la incrociava sorrideva maliziosamente, come a volerla schernire ulteriormente, dopo il torto fattole?
Quella vacanza si sviluppò nel peggiore dei modi, sommando ulteriori insicurezze alla situazione di Chiara; a al rientro, sentendosi sporca, indegna e colpevole di un segreto che sarebbe rimasto tale per molto tempo, precipitò con maggior intensità al centro del suo vortice malato.
Questo racconto può sembrare estraneo alle vicende della malattia, ma in realtà è radicato nella malattia stessa. Purtroppo esistono individui abominevoli per i quali nutro talmente poco rispetto da non potermi permettere di qualificarli come vorrei (in fin dei conti, una censura morale deve esistere, soprattutto nell’utilizzo delle parole scritte).
E non li qualificherò, relegandoli nell’oblio dell’indifferenza.
Ma mi rivolgo a coloro che ascoltano e percepiscono con le vibrazioni dell’anima.
Soggetti in grado di approfittarsi del debole equilibrio di una ragazza, ne esistono. Ne esistono eccome. Guardatevi attorno, ragazze. Guardatevi attorno come loro guardano voi. E diffidate.
Spesso il bisogno di evadere dalla propria realtà anoressica o bulimica, porta all’avere la necessità di voler vivere una storia appassionata, un amore pseudo-normale, uno spot di vita come ogni altra ragazza.
Be’, ragazze mie; voi siete come ogni altra ragazza.
Mettetevelo in testa.
Raccogliete questo sole che avete dentro di voi, e fatelo brillare sopra i tratti del vostro viso.
Voi siete esattamente come qualunque vostra coetanea. State passando un momento drammatico, orribile, devastante. Ma ne verrete fuori. Credeteci. Credeteci con me!
“The sun will rise again”, è una frase rubata agli Iron Maiden.
Un titolo bellissimo… “Il sole torna a sorgere ancora”.
E’ vero. Il sole, il vostro sole, tornerà a sorgere.
E allora, quel giorno, vivrete tutto ciò che desiderate. Sogni, amori, desideri, passioni.
Tutto. Tutto quanto.
Con un’intensità superiore a quella che potreste mai immaginare.
Forza!
Un abbraccio…
ChiaraSole Ciavatta

Logo Ufficiale MondoSoleMONDOSOLE E':
- un Centro per l'anoressia, bulimia, binge eating  (DCA) a Rimini, che svolge un servizio di cura, riabilitazione e reinserimento sociale delle persone con disturbi alimentari.
- una Associazione per la prevenzione, lo studio e la formazione sui disturbi alimentari (anoressia-bulimia), fondata da ChiaraSole Ciavatta e dal Dott. Matteo Mugnani.               CONTINUA

I disturbi alimentari sono patologie incredibilmente dolorose. Il sintomo evidente riguarda sempre il cibo e il corpo, ma è necessario ricordare che si tratta di un male molto profondo, per questo è importante andare oltre alla superficie sintomatica. I sintomi alimentari comunicano emozioni, dolore e sono la manifestazione di un disagio storico spesso incomprensibile per chi lo vive. I sintomi alimentari diventano, paradossalmente, una sorta di rifugio inconsapevole dalla realtà che ha fatto e fa male. Il corpo e il cibo come oggetti che ci si illude di poter controllare. Spesso si ritiene che l’unico problema di chi soffre di queste patologie sia proprio quello del corpo, ma ciò che trae in inganno è proprio il termine DIMAGRIRE. Sul corpo ogni persona materializza il dolore interiore e in questo modo cerca di “dimagrire” proprio di quel dolore che in quel momento non ha un nome.  CONTINUA



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