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dipendenza... affettiva

riflessione e testimonianza

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La mia dipendenza affettiva divorava me e l'altro

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la mia DIPENDENZA AFFETTIVA divorava me e l altro mondosole

Se vado a ritroso nel tempo mi rendo conto di come la mia vita sia stata sempre piena di mille, all’epoca le chiamavo fisse, oggi le chiamo anestesie. Cibo, alcol, canne, schemi, ma forse il primo grande disagio è stato quello della DIPENDENZA AFFETTIVA.
Non è un caso in quanto sono cresciuta in una famiglia in cui le dimostrazioni di affetto erano inesistenti, soprattutto da parte paterna, quindi fin da piccolissima mi sono legata tanto a quella che per me è stata una sorta di seconda madre, la mia vicina di casa; una donna sola e fortemente instabile, che con me aveva creato un rapporto esclusivo, fatto di un “amore” che non poteva assolutamente comprendere altre persone. Amava ricordarmi in modo morboso di quanto i miei famigliari fossero sbagliati e scorretti, soprattutto mio padre e la mia sorella maggiore e nel momento in cui provavo ad avvicinarmi ad altre persone, come una bambina capricciosa si chiudeva a riccio, facendomi sentire in colpa perché avevo trascorso qualche ora lontano da lei. Poi è arrivata l’età dei primi sguardi, ragazzini che ti iniziano a piacere, è al mio primo probabile morosino (come si dice dalle mie parti) gli ho detto di no perché dovevo studiare; non mi sentivo pronta a costruire un legame vero, perché nella mia testa ero già piena di quell’amore platonico fatto di intere giornate a pensare a lui, appostamenti sotto casa, beh nulla di strano vista la tenera età, peccato che la mia “fissa” sia durata ben sette anni. Ho avuto diverse relazioni, più o meno brevi, più o meno importanti, ma la cosa che le rendeva tutte ad ugual misura insostenibili, era quella mia maledetta natura conflittuale, allora pensavo frutto del mio pessimo carattere. Nei momenti in cui il sintomo alimentare era quotidiano e prepotente, il legame con l’altro diventava tutto sommato più equilibrato, ma nei periodi in cui si placava, cedeva il posto ad un sintomo altrettanto distruttivo ed invalidante, la dipendenza affettiva.
La sensazione che la tua vita senza l’altro non abbia senso, il voler trascorrere ogni attimo con lui, non volerlo condividere con nessuno: amici, familiari, lavoro, passioni, e poi un attimo dopo come una furia ti avventi su quella stessa persona con una rabbia accecante.
Porte rotte, oggetti scaraventati, parole cariche di odio, mille sono gli esempi che mi tornano alla mente, una sera sono pure finita all’ospedale in preda ad una crisi isterica, perché non mi aveva telefonato alla solita ora. E’ proprio vero che le persone si incastrano in relazioni malate, perché la cosa allucinante è che al di là di un sentimento, che ad un certo punto sarebbe pure auspicabile farlo passare in secondo piano, io dipendevo da loro quanto loro dipendevano da me, il conflitto era il collante perfetto.
La convivenza ha sicuramente amplificato a mille il mio sintomo.
Vivere con una persona significava per me inglobarla totalmente. Non potevamo fare cose diverse in due stanze diverse, non potevamo fare cose diverse nella stessa stanza, si doveva condividere tutto e chiaramente solo ciò che a me interessava fare in quel momento. Due sere alla settimana gli era concesso il calcetto con gli amici, ma alle nove io ero già accanita a controllare l’orario e se tardava anche di dieci minuti era l’inferno. Ma il mio inferno era già iniziato molto tempo prima, in quanto fantasticavo morbosamente su quel possibile ritardo, pregustando avidamente il momento del conflitto (ovviamente tutte queste cose le ho viste e comprese lavorando su di me). Se poi scoprivo che il ritardo era dovuto non all’imprevisto, non contemplato, ma ad un momento di svago con gli amici, per lui era finita. SEMPRE E SOLO CON ME GLI ERA CONCESSO LO SVAGO! Mi soffermo sul calcetto perché la fitta che provai quando A., sempre dimesso e disponibile, ammise che i suoi continui ritardi dipendevano proprio dal voler passare meno tempo con me, fu terribile. Il rapporto si stava lentamente sfaldando e all’apice si arrivò la sera in cui gli sputai nella faccia e gli misi le mani addosso, prendendole di rimando.
Su consiglio dei miei referenti già A. aveva fatto il primo passo, non assecondandomi più, non avvallando le mie isterie, ma questo non faceva altro che incrementare la mia rabbia. L’unica cosa che non è mai riuscito a fare è stata quella di allontanarsi e lasciarmi sola nel momento in cui io cercavo il conflitto. L’unica soluzione per salvare un rapporto ormai distrutto era quello di interrompere la convivenza e così due anni fa mi trasferii nella mia prima casa MondoSole. Vivere con le mie compagne di percorso per me ha significato la rinascita, ho iniziato con il tempo a fare baricentro su di me, assumermi le mie responsabilità, che se iniziano dalla cura e dalla gestione di se stessi, della propria stanza e della casa, culminano con tanto impegno e dedizione nell’essere in grado di prendere in mano la propria vita.
All’inizio è uno sforzo continuo, non esiste il tutto e subito, inizi con lo storcere meno il naso quando scopri che il tuo A. ha trascorso una bella serata con gli amici, la volta successiva riesci quasi a dirgli quanto tu sia contenta che si sia divertito, anche se non lo pensi ancora minimamente, e poi arriva il giorno, e questo si che è inaspettato e meraviglioso, in cui davvero sei contenta che abbia trascorso una bella serata.
Ti rendi conto che l’amore che ci lega non si misura in quanti minuti io mi dedico esclusivamente a te, ma è un qualcosa di ben più profondo e anche se quella sera tarda o non ti telefona, ormai il nostro amore è forte ed indiscusso.
Allontanarsi per poi ritrovarsi più vicini che mai, ognuno nella propria INDIVIDUALITA’, sempre.
A proposito, il 24 ritorno a convivere con A., e adesso quando dormo da lui e capita che A. vada a calcetto, come stasera, io lo aspetto guardandomi un film o preparandogli la cena e lui vi giuro è puntualissimo perché non vede l’ora di stare con me. Ciò mi lusinga, è normale, ma lungi dall’essere la REGOLA.

GRAZIE DI CUORE.
SIMONA P.

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