Dipendenza Affettiva


(Nutrirsi di una persona non è una soluzione ai propri disagi)

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Dipendenza affettiva

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DIPENDENZA AFFETTIVA (Nutrirsi di una persona non è una soluzione ai propri disagi)Partendo dalla mia esperienza personale spero di poter offrire qualche input di riflessione. Per quanto mi riguarda, parlando di dipendenza posso dire che una delle più dolorose e frustranti è stata quella affettiva. A partire dal rapporto morboso e simbiotico con mia madre che si alternava da momenti idilliaci al rovescio della medaglia che si rivelava incredibilmente violento, fino alla sfera sentimentale. Ed è su questo che vorrei soffermarmi in questo post. Duranti gli anni di malattia, che si sono alternati tra un sintomo e l’altro, ho tentato di costruirmi una vita sentimentale.
Prima di tutto ogni persona che sceglievo aveva in se dei perché specifici da ricondursi a tutto quanto ancora non avevo risolto dentro di me. Ogni persona non era casuale, così come ogni sofferenza. Ogni persona aveva precise caratteristiche materne o paterne, in base alla necessità del momento. Ora era da accudire e proteggere, persona che aveva bisogno di aiuto, perché ancora più malata di me, ora si trattava di una persona dominatrice, violenta, “cattiva”. Ogni volta la frase di rito era che “capitavano tutti a me”, ma in realtà mi sono resa conto che non era affatto un caso la scelta della persona in questione, era come se da subito esisteva una sorta di energia che faceva in modo che io e lui ci scegliessimo in base ai nostri disagi, in base ai nostri bisogni. Non ero pronta per una relazione matura! Accadeva che io mi attaccava ad ognuno in modo ASSOLUTAMENTE morboso. Ero possessiva, cercavo in tutti i modi di fondermi con quella persona, dovevamo essere un uno! Lui doveva respirare la mia aria e viceversa. Non sopportavo che potesse stare bene se non c’ero anche io. IO DOVEVO ESSERE SOGGETTO E UNICO OGGETTO DELLA SUA VITA. Vorrei fare l’esempio di una situazione per essere più chiara: ci eravamo conosciuti in discoteca, io stavo vivendo un periodo particolarmente complesso, ero molto fragile, anestetizzata da sintomi bulimici e dall’alcool. Per tutelarmi da me stessa non mi era permesso di uscire da tempo, ma una sera ho avuto questa possibilità, così con amici sono andata in discoteca e ho incontrato Lui. Avevo bevuto e dopo una notte insieme ho sentito l’obbligo di recuperare mi sono auto convinta di innamorarmi di lui, tanti erano i sensi di colpa di essermi buttata via così: io avevo circa 18 anni e lui 30. Poco dopo iniziata questa relazione gli ho impedito di avere interessi di ogni tipo. Doveva e poteva stare solo con me. Era diventata un’ossessione assordante, massacrante. Non mi bastava mai, dopo un primo momento di benessere non appena lo vedevo… subito dopo sentivo la disperazione, perché avvertivo dentro che quel benessere era fittizio, non reale, non abbastanza. Una manetta ancora più stretta del cibo. Inizialmente, i sintomi alimentari si erano affievoliti: perché la dipendenza si era spostata nel legame con lui, ma poi tutto è tornato con più violenza e cattiveria. Spesso quando si pensa o si dice che trovando una persona o un innamorato può essere un aiuto alla malattia stessa è un’illusione, perché in realtà è l’opposto, tutto si sposta da una dipendenza all’altra e una persona con questa patologia fatica a portare avanti più sfere della vita contemporaneamente. Non appena si incontra una persona tutto il resto scompare, ma poi torna moltiplicato. Ogni cosa non basta mai. Sempre di più ancora e ancora. All’inizio era tutto bello, tutto meraviglioso, ma dopo un po’ mi dava fastidio ogni cosa e questo è proprio il rovescio della medaglia della dipendenza e cioè il conflitto che lega ancora di più. Dalle paroline dolci si è passati all’aggressività e tutto è scoppiato, si è sgretolato. Io gli ho reso la vita impossibile, non me ne rendevo conto, ma per ottenere ciò di cui avevo disperatamente bisogno, facevo di tutto. Una pseudo relazione del genere poteva e doveva solo scoppiare! Mentalmente sono rimasta legata a lui e ricordo che ho fatto tanta fatica ad aprirmi alla possibilità di vivere sentimentalmente ancora perché avevo idealizzato questa persona per tanti motivi ampi e profondi. Sono passati 15 anni, e ricordo bene quel dolore, la sensazione che chiamo lo strappo della dipendenza: un dolore infinito che toglie forza e possibilità di ragionare, che non c’entra nulla con il rispetto dell’amore. E’ come se morisse una parte interiore. Il ripetersi di una situazione esistenziale.
Penso sia fondamentale lavorare su se stessi per comprendere quali siano le dinamiche che portino a cercare un certo tipo di partner o comunque compagni con caratteristiche simili che nell’unione portano sempre a soffrire in modo da poter ripulire questa stessa sfera. In fondo se prima non si trova se stessi come si fa a trovare l’altro adatto a se?! (Nutrirsi di una persona non è una soluzione ai propri disagi).
Un ultima cosa si dice sempre che due innamorati sono due metà che si completano, ebbene, in realtà: sono due unità che si incontrano e amano reciprocamente il rispettivo modo si essere senza volerlo modificare, amando e rispettando la libertà dell’altro.
Inutile dire che si potrebbe scrivere per ore, potrei parlare di me tanto e tantissimo… ma intanto questa prima parte penso offra qualche elemento di riflessione.
ChiaraSolePartendo dalla mia esperienza personale spero di poter offrire qualche input di riflessione. Per quanto mi riguarda, parlando di dipendenza posso dire che una delle più dolorose e frustranti è stata quella affettiva. A partire dal rapporto morboso e simbiotico con mia madre che si alternava da momenti idilliaci al rovescio della medaglia che si rivelava incredibilmente violento, fino alla sfera sentimentale. Ed è su questo che vorrei soffermarmi in questo post. Duranti gli anni di malattia, che si sono alternati tra un sintomo e l’altro, ho tentato di costruirmi una vita sentimentale.
Prima di tutto ogni persona che sceglievo aveva in se dei perché specifici da ricondursi a tutto quanto ancora non avevo risolto dentro di me. Ogni persona non era casuale, così come ogni sofferenza. Ogni persona aveva precise caratteristiche materne o paterne, in base alla necessità del momento. Ora era da accudire e proteggere, persona che aveva bisogno di aiuto, perché ancora più malata di me, ora si trattava di una persona dominatrice, violenta, “cattiva”. Ogni volta la frase di rito era che “capitavano tutti a me”, ma in realtà mi sono resa conto che non era affatto un caso la scelta della persona in questione, era come se da subito esisteva una sorta di energia che faceva in modo che io e lui ci scegliessimo in base ai nostri disagi, in base ai nostri bisogni. Non ero pronta per una relazione matura! Accadeva che io mi attaccava ad ognuno in modo ASSOLUTAMENTE morboso. Ero possessiva, cercavo in tutti i modi di fondermi con quella persona, dovevamo essere un uno! Lui doveva respirare la mia aria e viceversa. Non sopportavo che potesse stare bene se non c’ero anche io. IO DOVEVO ESSERE SOGGETTO E UNICO OGGETTO DELLA SUA VITA. Vorrei fare l’esempio di una situazione per essere più chiara: ci eravamo conosciuti in discoteca, io stavo vivendo un periodo particolarmente complesso, ero molto fragile, anestetizzata da sintomi bulimici e dall’alcool. Per tutelarmi da me stessa non mi era permesso di uscire da tempo, ma una sera ho avuto questa possibilità, così con amici sono andata in discoteca e ho incontrato Lui. Avevo bevuto e dopo una notte insieme ho sentito l’obbligo di recuperare mi sono auto convinta di innamorarmi di lui, tanti erano i sensi di colpa di essermi buttata via così: io avevo circa 18 anni e lui 30. Poco dopo iniziata questa relazione gli ho impedito di avere interessi di ogni tipo. Doveva e poteva stare solo con me. Era diventata un’ossessione assordante, massacrante. Non mi bastava mai, dopo un primo momento di benessere non appena lo vedevo… subito dopo sentivo la disperazione, perché avvertivo dentro che quel benessere era fittizio, non reale, non abbastanza. Una manetta ancora più stretta del cibo. Inizialmente, i sintomi alimentari si erano affievoliti: perché la dipendenza si era spostata nel legame con lui, ma poi tutto è tornato con più violenza e cattiveria. Spesso quando si pensa o si dice che trovando una persona o un innamorato può essere un aiuto alla malattia stessa è un’illusione, perché in realtà è l’opposto, tutto si sposta da una dipendenza all’altra e una persona con questa patologia fatica a portare avanti più sfere della vita contemporaneamente. Non appena si incontra una persona tutto il resto scompare, ma poi torna moltiplicato. Ogni cosa non basta mai. Sempre di più ancora e ancora. All’inizio era tutto bello, tutto meraviglioso, ma dopo un po’ mi dava fastidio ogni cosa e questo è proprio il rovescio della medaglia della dipendenza e cioè il conflitto che lega ancora di più. Dalle paroline dolci si è passati all’aggressività e tutto è scoppiato, si è sgretolato. Io gli ho reso la vita impossibile, non me ne rendevo conto, ma per ottenere ciò di cui avevo disperatamente bisogno, facevo di tutto. Una pseudo relazione del genere poteva e doveva solo scoppiare! Mentalmente sono rimasta legata a lui e ricordo che ho fatto tanta fatica ad aprirmi alla possibilità di vivere sentimentalmente ancora perché avevo idealizzato questa persona per tanti motivi ampi e profondi. Sono passati 15 anni, e ricordo bene quel dolore, la sensazione che chiamo lo strappo della dipendenza: un dolore infinito che toglie forza e possibilità di ragionare, che non c’entra nulla con il rispetto dell’amore. E’ come se morisse una parte interiore. Il ripetersi di una situazione esistenziale.
Penso sia fondamentale lavorare su se stessi per comprendere quali siano le dinamiche che portino a cercare un certo tipo di partner o comunque compagni con caratteristiche simili che nell’unione portano sempre a soffrire in modo da poter ripulire questa stessa sfera. In fondo se prima non si trova se stessi come si fa a trovare l’altro adatto a se?! (Nutrirsi di una persona non è una soluzione ai propri disagi).
Un ultima cosa si dice sempre che due innamorati sono due metà che si completano, ebbene, in realtà: sono due unità che si incontrano e amano reciprocamente il rispettivo modo si essere senza volerlo modificare, amando e rispettando la libertà dell’altro.
Inutile dire che si potrebbe scrivere per ore, potrei parlare di me tanto e tantissimo… ma intanto questa prima parte penso offra qualche elemento di riflessione.
ChiaraSole

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