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la colpa - senso di colpa

riflessione e testimonianza

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La Colpa

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non è colpa tua

Tante, troppe volte la parola COLPA compare nei nostri discorsi e ci tortura nei nostri pensieri malati.
Questo termine ha significato in ambito giuridico e presuppone una volontarietà nell’azione, una consapevolezza nel commettere un reato.
Riflettendo ci si rende conto di quanto non ci appartenga, non riguardi la nostra quotidianità, eppure sentiamo pesante quest’ombra costante.
Quante volte ci siamo ”SENTITE IN COLPA” per avere mangiato?
Perchè il nostro corpo e la nostra mente ci hanno chiesto nutrimento…
Comprendendo i propri dolori storici ci si rende conto del personale significato che ognuna di noi ha dato alla colpa che sentiva: una necessita ’organica non è’ una colpa e che ciò che ci faceva tanto male, ciò che non tolleravamo e vivevamo come grave reato era il piacere che ci provocava nutrire un corpo affamato .
Piacere che non ci concedevamo di provare.
Quante volte abbiamo dato la COLPA del nostro dolore ai familiari imputando loro ogni responsabilità della nostra sofferenza?
Ma finchè non ci prenderemo completamente carico del nostro dolore, non saremo mai libere e indipendenti davvero.
L’indipendenza a volte fa paura perchè sembra sinonimo di solitudine, ma quando si è in equilibrio e si riesce a fare baricentro su di se ci si accorge che non è così.
Ci siamo sentite sole anche tra mille persone quando stavamo male ,eravamo anestetizzate dai sintomi e nel pieno del vortice della malattia… essere indipendenti significa essere libere e quindi potere scegliere serenamente, autonomamente, non guidate da un bisogno o da una dipendenza se stare in compagnia di persone o di se stesse…
Dobbiamo imparare a tradurre il linguaggio del sintomo, che ci ha fatto da allarme per avvertirci che le dinamiche dell’intero nucleo familiare erano malate e disfunzionali al nostro benessere.
I nostri genitori hanno influito involontariamente alla creazione di tali dinamiche, ma anch’essi prima di essere genitori sono stati figli.. figli di figli e hanno portato all’interno della famiglia sistemi educativi che a loro volta sono gli stati trasmessi e insegnati.
Tocca a noi spezzare la catena per non portare a nostra volta nelle famiglie che creeremo ,a nostra volta situazioni problematiche irrisolte.
E ancora quante volte ci siamo SENTITE IN COLPA per essere la causa delle preoccupazioni dei nostri genitori.
…Anche se in realtà, spesso, i disturbi alimentari nascono proprio per avere (piu’ o meno consapevolmente) la considerazione della famiglia, a titolo di risarcimento storico e, la preoccupazione è la più grande forma di attenzione che ci possa venire dedicata.
Comunque il “senso di colpa“ ritorna sempre… ma ragionando è evidente come si arrivi sempre a comprendere che LA COLPA NON ESISTE!
Ammettendo a noi stesse il nostro sentire possiamo dire che il senso di colpa fa compagnia ,è talmente ingombrante nella mente che permette di accomodarsi e cullarsi dietro e dentro di lui.
Se mi sento in colpa per qualcosa non ci devo ragionare, non devo sopportare la frustrazione di cambiare una mia modalità o un mio schema… lamento una condizione, mi piango addosso e basta… è molto meno faticoso piuttosto che mettersi in discussione giorno dopo giorno con costanza…
La colpa è un termine usato in tribunale… i giudici più severi e intransigenti verso noi stesse siamo noi!
L’accettazione, l’accoglienza, l’ascolto, il rispetto della propria natura e dei propri bisogni e di conseguenza poi altrettanto nei confronti dei nostri affetti più cari è la condizione fondamentale per vivere appoggiando il martelletto da giudice e rasserenare l’animo.
Silvia M.

Una sofferenza durata una vita

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dolore durato una vita poi compreso



Un dolore durato una vita.. affamato, divorato… ma poi compreso: Valentina P.

<<Perchè proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?>> . Quante volte mi sono ripetuta queste domande, quante volte ho cercato una risposta... ma solo oggi, capisco che non poteva esserci, nessuno poteva darmene una, perchè quelle domande, quella sofferenza che esse racchiudevano, “alimentavano”, paradossalmente, la malattia, la nutrivano con i suoi stessi strumenti malati. Fermarsi alla superficie, non andare al di là della parte sintomatica che mi stava dilaniando corpo e mente, continuare inconsciamente a “compiangermi”, mi riimmetteva nel circolo vizioso della malattia, dei sensi di colpa, dei sintomi, mi anestetizzava e mi allontanava da un dolore troppo grande per me da poter essere sviscerato, affrontato, vissuto interiormente, metabolizzato..... CONTINUA >>

 

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